tecnicaTanti anni fa la mia cara amica Grazia Zermann, donna del Movimento e mia, oltre che amica collezionista, mi mandò una cartolina con la scritta: “Fare e disfare è tutto un lavorare, fare e disfare è quello che so fare”, citazione dai Canti Orfici di Dino Campana, ebbene questa potrebbe essere una parte della descrizione e della mia vita e della mia tecnica pittorica.
Il mio lavoro infatti comincia con un’accurata preparazione della tela o tavola o cartone, come minimo due mani di gesso o di un acrilico di base – inizio poi tutta una serie di fasi in cui utilizzo, sempre come base l’acrilico di alta qualità, poi, a volte riporti fotografici e foglia d’oro, d’argento e di rame – se la campitura è assai vasta ovviamente uso oro matto e argento matto – almeno che non abbia un accordo col committente o che non consideri il quadro altamente sacro – come in tutta la serie “La Musica delle Sfere dedicata agli Arcangeli connessi con la Kaballah – ma in ogni caso, anche quando uso oro e argento matto, una piccola parte è sempre vero, non per un valore coloristico, ma per un valore esoterico. Si sa che l’oro è lo Yang e l’argento lo Yin e forse esagero a dire si sa, lo sa chi si interessa di simbologia del profondo.
Ogni quadro ovviamente ha un’alchimia diversa e quindi una composizione materica diversa ed un tempo di esecuzione che varia sia per ragioni tecniche che emozionali.
Altri colori che uso sono i vinilici fluorescenti e fosforescenti e, questo già dagli anni ’60, le microsfere di vetro che rendono il quadro luminoso senza bisogno di mezzi meccanici. Negli anni ’60 ero molto fiera di questa mia tecnica, allora, tempo di Op Art, molti lavoravano sulla variabilità della luce, ma sempre con mezzi meccanici ed io amavo l’idea di riuscire a farlo senza mezzi meccanici. Adesso però nelle mie mostre metto quasi sempre le luci di wood così da dare pieno risalto alla luce e all’ombra e i quadri fluorescenti illuminati dalla lampada di wood sembrano accendersi da dentro e inducono spesso le persone ad abbassare il tono di voce perché la sensazione numinosa è forte ed è proprio questo che cerco: il silenzio di fronte all’opera, così che questa possa parlare e comunicare al meglio la sua magia.
Diversi critici parlano della particolarità della mia tecnica – recentemente Rossana Bossaglia, nel presentare la mia Mostra “La Musica delle Sfere” alle Segrete di Bocca dice: “I dischi luminosi della recente produzione si avvalgono sempre più dell’utilizzo concomitante , o sovrapposto, di materiali diversi: dai colori acrilici ai metalli preziosi, per lo più sgranati o sbriciolati, talora su inserti fotografici…”
e già negli anni ’60, e per esattezza nel 1969, Riccardo Barletta scriveva:
“…infatti lo spettatore, dato che alcune zone della superficie del quadro sono trattate con impalpabili sfere catarifrangenti, incorporate nel colore acrilico, è costretto non a una contemplazione statica del dipinto, ma ad interagire con la luce, con lo spazio, onde permettere alla rifrazione di qualificare di più certe aree rispetto ad altre; le une trattate per ottenere effetti vibratori di luce, le altre normali e più sorde”.
Inventare nuove tecniche è per me connaturato all’espressione, mi piace osare e questo devo dire anche nella vita, ma di questo parlerò più avanti e chiudo questo discorso sulla tecnica ed anzi sulle tecniche dichiarandomi un alchimista della luce, sia nel senso reale che metaforico.